«Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek» (Sal 109,4). Il capitolo 5 della Lettera agli Ebrei contiene un testo classico sul sacerdozio di Cristo, che per analogia si applica al sacerdozio ministeriale. L’ossatura della lettera, di carattere propriamente sacerdotale, giunge così alla definizione precisa della identità del Messia come sommo ed eterno sacerdote, conseguenza della sua figliolanza divina. Sono delineati i caratteri propri del sacerdozio: la chiamata divina in ordine al bene degli uomini in tutto ciò che si riferisce a Dio; la compassione, tipica del suo essere misericordioso verso coloro che sono nella ignoranza e nell’errore, determinata anche dal suo essere debole; l’offerta del sacrificio di espiazione dei peccati suoi e del popolo. Tutto ciò è subordinato al fatto che è Dio stesso a chiamare, investire e mandare è che nessuno può arrogarsi questo compito indipendentemente dalla chiamata di Dio. Prendendo la natura umana Cristo divenne mediatore e sacerdote: ciò viene confermato dalla citazione di due salmi, il 2 che richiama la figliolanza divina ed il 109 che sancisce il suo eterno sacerdozio secondo l’ordine di Melchisedek il misterioso re di Salem che compare appena nella Genesi. In Lui si concentrano due poteri: quello reale-messianico e quello sacerdotale già adombrati a suo tempo dal re Davide. Questa descrizione di carattere teologico fonda l’identità del sacerdozio ministeriale: pertanto ogni sacerdote rispecchia i termini e gli elementi enunziati, dalla chiamata di Dio all’esercizio ministeriale della compassione e del servizio del popolo di Dio in tutto ciò che si riferisce a Dio. Questa è la mia identità, questo, il mio ministero. P. Angelo Sardone