«Io sono il Signore, non ce n’è altri. Fuori di me non c’è altro dio, un dio giusto e salvatore» (Is 45,21). All’accorata preghiera con la quale il profeta chiede ai cieli di stillare dall’alto perché le nubi facciano piovere la giustizia e la terra produca la salvezza, fa seguito una dichiarazione perentoria di Jahwé: «Io sono il Signore, che ho creato ogni cosa, la terra, la luce, le tenebre e tutto ho reso stabile». Ed ancora: «Io sono il Signore, non ce n’è altri. Fuori di me non c’è altro dio». È interessante ed importante che in un contesto liturgico che prepara al Natale queste affermazioni esprimano con chiarezza verso chi si va e chi si attende nel mistero. “Il nostro Dio non è una statua”, faceva cantare con profonda acutezza teologica negli anni ’70 il maestro Marcello Giombini in uno dei suoi Salmi per il nostro tempo; “ha occhi per vedere, ha orecchi per sentire, ha un cuore per amare”. Lo stereotipo di un dio staccato da noi, relegato nella storia e nel tempo, lontano dai problemi umani o addirittura tollerante o ingiusto in riferimento alla vita ed alla morte ed alle sorti dei viventi, non si allinea affatto con il sentire teologico di un Dio la cui carne si è fatta visibile nel Figlio dato al mondo, il cui cuore ed il cui corpo si sono addossati i travagli dell’uomo a cominciare dal peccato che causa la sofferenza e la morte. Occorre allora riconoscere solo in lui la giustizia e la potenza, coprendosi di vergogna, quando si arde invece di ira contro di lui. Gli stravolgimenti della natura e della vita dell’uomo sono le conseguenze naturali di scelte folli e sciagurate che l’uomo continua a compiere anche oggi in nome dei diritti civili e di una assoluta autonomia da Dio. P. Angelo Sardone