Mattutino di speranza
Sabato 16 maggio 2020
L’amore rigenera sempre, è un divenire continuo, una forza insopprimibile della natura, è l’impronta di Dio nell’uomo. Il sommo poeta Dante Alighieri chiude l’intera Divina Commedia con una espressione definitiva e definitoria di Dio: «l’amor che move il sole e l’altre stelle» (Paradiso, XXXIII, 145). L’amore divino, sublime, “altissimo, onnipotente e buono”, infinito, si relaziona intimamente con l’amore umano, imperfetto, vulnerabile, fallace, ma proiettato oltre il finito. Dio, come una fonte inesauribile, riversa nel cuore dell’uomo l’acqua viva della conoscenza, delle virtù, del suo amore senza limiti per tutte le creature. La dimostrazione più grande è il dono del suo Figlio che si è fatto in tutto simile all’uomo, eccetto il peccato, per riportarlo alla primitiva dignità perduta col peccato e ristabilire la sua alleanza di fedeltà e di amore. La definizione più completa Dio se l’è data da solo: è “Amore”. La storia del pensiero ha riservato per l’amore infinite pagine profonde e coinvolgenti, con esplicitazioni, attributi, esperienze; la letteratura e le arti lo rappresentano con una straordinaria ricchezza di immagini, sensazioni, emozioni. L’amore è vivo, casto, platonico, sensuale, appassionato, travolgente, oblativo. Le sue forme primarie vanno da quello parentale-familiare (storge), cioè affetto naturale o istintuale, amore di appartenenza, l’amore di un genitore verso i figli e viceversa, a quello di amicizia, di affetto e piacere (philìa), dal desiderio sessuale e romantico (éros), dall’amore passionale momentaneo che esige soddisfazione (hìmeros), all’amore spirituale (agàpe), che esprime il dono totale di sé, un amore di ragione, che se anche non è ricambiato, è incondizionato e giunge fino ad annientamento. La teologia identifica questo amore con Dio che ama, crea, si interessa dell’uomo e non lo abbandona al proprio destino; col Dio che per amore sacrifica suo Figlio per la redenzione dell’uomo. La peculiarità di questo amore è l’oblazione. Gesù Cristo l’ha espressa con gesti concreti (la lavanda dei piedi), col dono che perpetua la sua presenza nel mondo (l’Eucaristia), con la sua passione e morte. Un amore che non si colora di umiltà, di servizio, rinunzia e sacrificio non è amore. Diversa è la filantropia, disposizione d’animo verso il proprio simile, sentimento naturale di benevolenza e di solidarietà nei confronti dell’altro che condivide una medesima situazione e trova un’ancora di salvezza nel reciproco sostegno. Il vertice dell’esaltazione dell’amore in termini di attributi qualificativi ed operativi, si trova nella didattica teologica e pastorale dell’apostolo Paolo. Nella Prima Lettera ai Corinzi, li delinea con una levatura altissima, nel celebre Inno alla carità o Inno all’amore, una delle cose più belle che siano mai state scritte (1Cor 13, 1-12). Nella ordinarietà della sua esistenza, nelle relazioni dentro e fuori la famiglia, nei contesti sociali ed ecclesiali, il cristiano con questi termini dà senso alla vita, anche quando il senso non c’è. La vera condivisione ed il vero amore vanno oltre le espressioni eufemistiche che spesso fanno da supporto e contorno nelle relazioni affettive sociali e spirituali, amichevoli e sentimentali, che possono rivelarsi anche false ed ingannevoli, egoistiche e interessate e che sfociano talora nel disprezzo duro e violento dell’altro. Si esprimono invece nell’oblazione, sino alla fine e a qualunque costo. L’insegnamento di Gesù è inequivocabile: «Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per la persona che si ama» (Gv 15,13). Io che non sono un mestierante del sacro, ho imparato da queste sublimi lezioni, ed anche da quella che tu, senza accorgertene mi dai, ad ascoltarti, ad ascoltarmi e a morire di amore, anche per te, per amore di Cristo. Giorno dopo giorno, passo dopo passo, anche quando tu dovessi mostrarti indifferente o voltarmi le spalle. P. Angelo Sardone