«Cristo ha messo a suo servizio me che prima ero bestemmiatore, persecutore e violento» (1Tim 1,12-13). Timoteo, tra tutti i collaboratori di S. Paolo era il più vicino ed il prediletto. Era nato a Listra in Licaonia, da padre greco e madre giudea. Si era formato sulle Sacre Scritture dalla mamma Eunice e la nonna Loide, convertito al Cristianesimo dallo stesso Apostolo, una volta circonciso, a poco più di vent’anni prese a seguire Paolo nei suoi viaggi, come è documentato negli Atti degli Apostoli. A lui furono indirizzate due lettere, dette “pastorali”, perché contengono istruzioni ed indicazioni sul come condurre la comunità, organizzare il culto, i vari ministeri, le norme di comportamento. Nella prima, quasi all’inizio, Paolo richiama alla memoria la sua personale conversione, e la trasformazione da bestemmiatore, persecutore e violento, ad Apostolo. Il tutto per opera di Cristo, della sua stima e del suo amore. È stato Gesù misericordioso a ritenerlo degno del ministero e del servizio missionario. L’unica giustificazione del suo errato comportamento la trova nella sua ignoranza, cioè la non conoscenza delle cose di Cristo e nell’incredulità. Questa ammissione mentre non scagiona Paolo dalle sue responsabilità, evidenzia il fatto che è stata solo la grazia a sovrabbondare attraverso la fede e la carità. Questo meraviglioso tratto autobiografico evoca la storia della conversione di tante persone che sono approdate a Cristo dopo aver percorso un itinerario di leggerezza, di ignoranza nella fede, di rifiuto di Dio e della sua legge, ma poi entrate a servizio di Dio e della Chiesa. P. Angelo Sardone