«Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli» (Eb 7,26). Al contrario del sacerdozio davidico che presentava incompletezze proprio perché soggetto alla legge ed era umano e temporaneo, il sacerdozio di Cristo si identifica con la stessa persona di Cristo. Si riveste pertanto di connotazioni uniche ed esclusive: innanzitutto è un sacerdozio eterno e non trasmissibile; salva coloro che si avvicinano a Dio perché, proprio per il suo compito di salvatore, Egli vive per sempre ed intercede per ciascuno in maniera efficace. Tutto questo è determinato da un settenario di caratteristiche proprie: santo, staccato da tutto ciò che non porta a Dio; innocente come una pecora muta che va incontro alla morte; senza macchia, cioè puro ed immacolato; separato dai peccatori perché tutt’altra cosa che il peccato; innalzato nei cieli più alti; offerente e vittima insieme; perfetto per l’eternità. È semplicemente grandiosa questa casistica teologica. Con essa deve misurarsi ogni giorno il sacerdote che esercita il suo ministero «in persona Christi capitis», reso partecipe realmente del sacerdozio di Cristo. Avverte il senso della profonda amicizia che gode da parte di Gesù («vi ho chiamato amici») che permette a lui di agire ed operare nel suo nome. Partecipa inoltre al triplice munus Christi, cioè alla triplice potestà: santificatrice, magisteriale e pastorale dello stesso Gesù Cristo Capo e Pastore della Chiesa, per condure verso la santità il popolo di Dio. La santità della sua vita personale diventa testimonianza ed impulso alla santità degli altri, attraverso un processo di evangelizzazione che lo caratterizza e definisce come ministro di Cristo e della Chiesa. P. Angelo Sardone