Sabato santo. Giorno della sosta, del silenzio e dell’attesa. Non si può comprendere il significato e la portata di questo giorno, fino a quando non si è sperimentata la morte di una persona cara e la veglia accanto ad un corpo esamine. Il grande silenzio si riempie di ricordi, di sentimenti, di rimpianti. Tornano alla mente parole, sensazioni, insegnamenti, ma tutto è fermo dinanzi al freddo di un corpo immobile, di una storia e di una vita che non ha ritorno. Per Gesù non fu così. Probabilmente i sentimenti di tutta la gente che lo amava e che lo aveva seguito sino alla fine, pur con paura, confusione e timore, nonostante fosse stata irrorata da una parola di verità più volte pronunziata dal Maestro, furono sopraffatti dall’incertezza e dalla poca fede che non faceva loro guardare oltre il grande masso di pietra rotolato all’imboccatura del sepolcro, perché nessuno lo violasse. Ma c’era chi in questo trambusto di pensieri andava covando non senza uno sconsiderato ardire, l’idea che in fondo tutto quello che era stato previsto dalla Scrittura e dai Profeti. Tutto ciò che il Messia aveva detto, si era sistematicamente realizzato. Con questo ardore ed un pizzico imprudenza si preparavano a recarsi al sepolcro. Erano le donne, quelle innamorate davvero di Gesù, coloro che avevano sperimentato in prima persona la ricchezza di un amore gratuito, senza compromessi, di assoluta misericordia. Nel silenzio e nella preghiera sostavano pensose e vivevano la «veglia del Signore» insieme con Maria, non sapendo che era lo stesso Gesù a vegliare su di loro «nel suo dormire della morte» (S. Cromazio). Silenzio. Vegliamo perché Cristo veglia su di noi e risveglia il bisogno di tornare a Lui con un cuore libero ed un animo purificato dalla grazia sacramentale della Penitenza. P. Angelo Sardone