«Gli rispose Tommaso: Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28). Si può sintetizzare in questa mirabile espressione di fede, la testimonianza dell’apostolo S. Tommaso di cui oggi si celebra la festa. Era detto «didimo», cioè «gemello». L’evangelista Giovanni gli dà un significativo rilievo nel suo vangelo: esorta i Dodici a seguire Gesù per andare a morire con Lui in Giudea; chiede a Gesù quale sia la «via» per seguirlo; ed altro. Notevole importanza è stata sempre data alla cosiddetta sua «incredulità» dinanzi al mistero della risurrezione di Cristo raccontato dagli Apostoli, dalla quale potrebbe trasparire una tiepidezza della sua fede. Era scettico in quella circostanza e per credere aveva bisogno di vedere e mettere le mani. L’arte l’ha sempre consacrato nell’atto di mettere il dito nella piaga del costato di Cristo. «È uno che non si accontenta e cerca, intende verificare di persona, compiere una propria esperienza personale» (Papa Francesco). Non si sa dove sia nato né tanto meno dove sia morto, anche se la tradizione parla della sua evangelizzazione in Siria, Persia ed in India. L’espressione più grande della sua fede e della fede di chiunque si avvicina a Cristo è proprio quel «Signore mio e Dio mio»: in essa vi è tutta la resa da parte sua dinanzi alla giusta comprensione del mistero e nello stesso tempo l’adesione totale al Cristo, signore e Dio. I dubbi della fede sono comuni a tutti, grandi e piccoli, colti ed ignoranti. Sono comuni anche ai cristiani nonostante il cammino formativo e sacramentale. La fede, come testimonia l’apostolo è l’abbandono maturo e fiducioso a Dio nonostante il limite umano della difficoltà di comprensione. Solo così si può meritare di essere parte integrante della beatitudine di Gesù che riguarda «coloro che pur non avendo visto crederanno» (Gv 20,29). Auguri a tutti coloro che ne portano il nome e come Lui, passano dalla incredulità alla fede certa e matura. P. Angelo Sardone