«Portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo» (2Cor 4,10). L’apostolo Paolo ha piena consapevolezza che la grandezza del suo ministero apostolico viene supportato dalla debolezza e dalle infermità dei cristiani. Ancora di più il tesoro del Vangelo della gloria di Cristo è portato nel vaso di creta della fragile umanità e del corpo depositario anche della morte di Gesù, in vista della manifestazione della vita. Prove e tribolazioni di ogni genere appaiono come riproduzione della morte di Gesù sulla quale Egli stesso ha trionfato con la sua gloriosa risurrezione. Questa certezza fu espressa nella vita e nella morte dell’apostolo Giacomo, il Maggiore, fratello di Giovanni, entrambi pescatori, figli di Zebedeo e Salome. Egli appartiene al primo gruppo dei discepoli chiamati da Gesù e denominato col fratello “Boanerghes”, figli del tuono” (Mc 3,17). Fu testimone dei principali avvenimenti della vita del del Maestro: la Trasfigurazione, la risurrezione della figlia di Giairo, la passione al Getsemani. Il calice indicato da Gesù come dono del Padre offerto ai suoi seguaci lo berrà, primo tra gli Apostoli, l’anno 42 quando a Gerusalemme morirà martire ad opera di Erode Agrippa. Inveterate tradizioni riferiscono che il suo corpo fu seppellito a nord-ovest della Spagna nel luogo che da lui prende il nome di Santiago de Compostela, notissimo sin dal secolo X, come meta di pellegrinaggi da ogni parte del mondo per il cosiddetto “Cammino di Compostela”. Cappello, mantello, bastone e conchiglia contraddistinguono il viandante e pellegrino che ancora oggi si reca costì per essere sostenuto nella dilagante oppressione del male e del peccato. P. Angelo Sardone