«Non portarono alcuna accusa di quei crimini che io immaginavo» (At 25,18). Le insidie contro Paolo non sono mai troppe, come anche i tempi ed i modi per poterlo giudicare e condannare. Ciò che era avvenuto nel processo a Gesù, in un certo senso avviene anche per lui. Tutti sono giudici: dai Giudei agguerriti, al tribuno, fino al governatore Marcio Festo che con un fare giuridico politicamente corretto si trasforma nel debole e codardo di turno. Pur volendo rimanere fedele ad una procedura giuridica, non si assume la responsabilità ultima. Sa bene che non ci sono crimini di cui Paolo è accusato dai Giudei ma una questione relativa alla loro religione e a Gesù, morto, che Paolo sosteneva essere vivo. La presenza “viva ed operante” di Cristo, signore del mondo, determinata dopo la sua ascensione al cielo e la discesa dello Spirito Santo, è predicata con vigore e testimoniata dall’Apostolo con coraggio sempre più sorprendente, sorretto dalla forza che viene dal Risorto. Festo ne è cosciente, ma, pur avendo il potere di farlo, non ha la forza né la voglia di stare dietro a simili questioni preferendo cercare appoggio per le sue velate buone intenzioni, dal confronto col re Agrippa. Ma non serve a nulla se non ad evidenziare ancora di più il sopruso nei confronti di un innocente e la sua preoccupazione di vita lontano mille miglia da queste bazzecole religiose. Tante volte il potere civile dà segni di superficialità e rimane sospeso dinanzi alla verità dei fatti ed all’innocenza delle persone, preferendo piuttosto lavarsi le mani o ancor peggio, affliggere una condanna anche a chi è innocente. Certe correttezze o scorrettezze giuridiche sono simili a manifestazioni di autentica debolezza. P. Angelo Sardone