. «Per salvarmi la vita hanno rischiato la loro testa, e a loro non io soltanto sono grato» (Rom 16,4). La lunga ed intensa lettera ai Romani si chiude con una serie di saluti. Non sono semplicemente parte della consuetudine letteraria ed epistolare, con un carattere prevalentemente religioso, ma l’espressione sincera e viva della gratitudine che S. Paolo nutre e manifesta nei confronti di coloro che lo hanno aiutato e sono con lui sulla breccia continua dell’evangelizzazione. Il saluto si sviluppa su tre piani: i più stretti collaboratori, la comunità di Roma invitata a scambiarsi il bacio santo, tutte le altre Chiese. Tra i collaboratori più stretti e fidati Paolo cita l’ebreo Aquila e la romana Priscilla, una coppia di convertiti che vivono reciprocità e grande amore sponsale. Si erano trasferiti a Corinto e, divenuti grandi suoi amici gli avevano offerto un aiuto deciso e rischioso quando era rimasto vittima del tumulto di Efeso. La collaborazione dei laici nell’evangelizzazione accanto ai sacerdoti e ministri è di fondamentale importanza non solo dal punto di vista tecnico ed organizzativo, ma anche e soprattutto dal punto di vista umano. L’amicizia vera tra il sacerdote ed i suoi fedeli è di capitale importanza per entrambi. Ma deve trattarsi di una amicizia vera, matura, seria, feconda di bene e non di opportunismo e labile simpatia temporanea ed evanescente che presto evapora e non fa ricordare neppure i nomi. Spesso in una società dominata da sentimentalismo sotto mentite spoglie di vicinanza e di collaborazione pastorale si corre questo serio rischio che porta detrimento all’uno ed agli altri. Poi arriva la morte e ci si dimentica facilmente. P. Angelo Sardone