«Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20). La franchezza di Pietro e Giovanni desta tanta meraviglia negli interlocutori agguerriti, i capi dei giudei, che pure considerano la loro semplicità ed inadeguatezza letteraria. Ciò che rende fermi e franchi i due Apostoli è la certezza di quanto annunziano e la forza che viene loro dal mistero della risurrezione che è stata già per loro un’esperienza personale. Sono risorti dalla titubanza e dalla paura al coraggio di parlare e di affrontare possibili nemici. Intanto gli stessi interlocutori non possono negare ciò che è accaduto. È evidente che quello che era storpio ora cammina, tutti lo vedono. Si sentono comunque minacciati nel bagaglio della loro fede che respinge assolutamente Cristo e la sua vicenda ultima di risurrezione. E perché non si divulghi ulteriormente la diceria, decidono di scarcerare i due malcapitati loro malgrado, e di ingiungere loro di non parlare né di Gesù né della potenza del suo nome. La risposta è anche qui ferma e decisa: non possiamo assolutamente tacere su ciò che abbiamo visto ed udito. La verità non può essere messa a tacere perché è verità. Le favole ed i miti lasciano il tempo che trovano, ma ciò che si constata e si tocca con mano non può rimanere nascosto, si diffonde di per se stesso. Emerge qui il dovere fondamentale degli apostoli, di ieri e di sempre: rendere testimonianza, proprio come già aveva insegnato il Maestro. La minaccia umana non ha valore dinanzi a questa ingiunzione dello stesso Cristo. Il popolo della risurrezione viene chiamato ad essere il popolo della testimonianza perché essa, proclamata con le parole ed ancor più con la vita, diviene sempre il mezzo più efficace della diffusione e della difesa della vera fede. P. Angelo Sardone