«Dio non può essere tentato al male ed egli non tenta nessuno» (Gc 1,13). La Lettera di Giacomo è uno scritto del Nuovo Testamento attribuito a Giacomo fratello del Signore che ebbe un ruolo di primo piano e di direzione nella Chiesa di Gerusalemme. Radicato nel Giudaismo e ritenuto uno delle colonne della Chiesa, prese parte al Concilio di Gerusalemme. La lettera a lui attribuita, molto probabilmente un’antologia di testi o un’omelia destinata ai dispersi delle tribù di Israele, presenta elementi di vita cristiana concreta con alcuni principi molto pratici ed una concezione realistica della vita. Tra i diversi argomenti, proprio all’inizio vi è il tema della tentazione che oltre che dallo stesso uomo, proviene da una forza superiore, il diavolo. La tentazione non viene da Dio perché Dio non può essere tentato, ma da una potenza demoniaca che trova un appiglio ed una base favorevole nella concupiscenza che alberga nell’uomo e che se non è regolata, diventa travolgente ed assillante e lo porta ad ampia peccaminosità. Inoltre Dio non tenta nessuno. La fede viene messa alla prova, superata la quale produce la costanza che dà pieno compimento all’opera divina. È comunque possibile superare le difficoltà e le prove: la vittoria favorisce l’uomo nel raggiungimento del traguardo escatologico. La prova e la tentazione, passando attraverso il peccato possono portare alla morte. La virtù si sviluppa nella misura in cui si supera la prova. L’uomo è tentato dalla carne, dal diavolo e dal mondo. Dio permette la prova e la tentazione, ma sostiene l’uomo perché “non cada nella tentazione, mediante il fervore della carità” (S. Tommaso d’Aquino). P. Angelo Sardone