Venerdì di Pasqua. «Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato» (At 4,10). L’intervento miracoloso di Pietro e Giovanni fu giudicato come un crimine da parte dei benpensanti religiosi di allora accorsi al tempio, fino al punto da essere coinvolti in una bagarre giudiziaria, da parte dei sacerdoti, del capitano del tempio e dei sadducei. Questi ultimi appartenevano all’aristocrazia sacerdotale ed erano particolarmente irritati perché si parlava di risurrezione dai morti, cosa da loro aborrita. Non era finita lì: tanta era la loro rabbia da indurli all’arresto dei due malcapitati, condotti in prigione fino al giorno successivo, sostenuti però dal numero crescente di credenti giunto fino a cinquemila persone! Il supremo tribunale approntato con immediatezza, analogo a quello che aveva giudicato Gesù di Nazaret, con giudici di riguardo, dal sommo sacerdote Anna, Caifa ed altri, voleva sapere a tutti i costi con quale autorità avevano agito i due apostoli, testimoni oculari prima della tomba vuota e poi, la sera stessa, della risurrezione di Cristo. Imitando Gesù i due con «parresia», come oggi si ama definire col linguaggio biblico la franchezza, si limitarono a confermare senza alcuna paura e vincendo le resistenze beffarde dei giudici, che la guarigione dello storpio era opera di Dio nel nome di Gesù di Nazaret. Quanta resistenza c’è anche oggi dinanzi ad avvenimenti analoghi! I primi a non credere e contrastare vistosamente, sono, talora, proprio i pii ed i buoni che si lasciano andare a credenze superficiali e melliflue e non approfondiscono come si deve i dati teologici certi, della presenza e dell’opera di Dio nell’oggi del tempo e della storia. P. Angelo Sardone