«Vorrei essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne» (Rm 9,3). Nell’affrontare il problema dell’incredulità dei Giudei, con grande emotività Paolo si rende disponibile ad essere egli stesso votato alla maledizione se ciò serve a vantaggio dei suoi consanguinei. Su un binario analogo si mosse nell’intera sua esistenza S. Martino de’ Porres (1579-1639), o «Martino della carità», come amabilmente lo confermò all’atto della sua canonizzazione, S. Giovanni XXIII. Amore al crocifisso per il quale versava lagrime, alla santa Eucaristia della quale si nutriva e dinanzi alla quale sostava in adorazione prolungata, amore ai poveri con una squisita carità soprattutto verso gli ammalati, derivante dalla sua fede ed umiltà, sono i parametri della sua vita e le pietre miliari del suo cammino di santificazione. Era figlio illegittimo di un aristocratico spagnolo conquistatore del Perù e di una schiava panamense di origine africana. Imparò l’arte di barbiere e medico e divenne frate Domenicano a Lima, rimanendo semplicemente fratello laico e svolgendo umili mansioni. La sua santità, frutto di una umiltà profonda si manifestò vistosamente quando anche il viceré del Perù e l’arcivescovo di Lima, si recarono da lui a chiedere consigli. Era continuamente indaffarato con la scopa in mano per la pulizia del convento, la cura dei poveri impiegati nelle piantagioni e degli ammalati, ma anche istitutore di bambini poveri quando aprì un collegio proprio per loro, ed insegnò la dottrina cristiana alle persone che vivevano per strada. Il Signore lo colmò di grandi doni col potere dei miracoli e la bilocazione. «Dal peccato alla gloria», una celebre pellicola del 1961, lo ha fatto conoscere al pubblico mondiale che tuttora lo ammira e lo acclama «santo della carità». P. Angelo Sardone