«Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me» (Ml 3,1). Il nome Malachia significa “il mio messaggero” ed è tale l’anonimo profeta al quale si riferisce il libro omonimo redatto probabilmente dopo il 516 a.C. durante il periodo persiano. Uno dei temi presenti nella sua predicazione è l’annunzio del giorno di Jahwé preceduto dall’arrivo di un messaggero. Egli si colloca nell’era messianica per ristabilire l’ordine morale e quello cultuale che si esprime e culmina nel sacrificio perfetto offerto a Dio da tutte le nazioni. Questa idea è una delle più alte del messianismo e dell’universalismo dell’Antico Testamento. Il messaggero viene annunziato come il profeta Elia. L’evangelista Matteo applica tale testo a Giovanni Battista, nuovo Elia, il precursore di Gesù. La sua parola, come quella del grande profeta sarà di fuoco: servirà a raffinare e purificare; sarà come un detergente potente per la stoffa ricavato dalla cenere di legno in uso ai lavandai. La sua presenza e la sua predicazione sortiranno l‘effetto di preparare il terreno appianato al Messia e disporre i cuori ad una concreta e reale conversione per evitare lo sterminio. La figura emblematica e straordinaria del Battista suscita sempre tanta ammirazione per la radicalità della sua testimonianza, la crudezza e fermezza della sua parola, la massiccia coerenza che lo porterà alla morte anzitempo per aver difeso con invitto coraggio la verità e la moralità dei costumi. Di Elia e Giovanni Battista ce ne vorrebbero tanti altri nella Chiesa e nella società per svegliare chi dorme e rimettere nella mente e nel cuore parole sensate e scelte adeguate e coraggiose di vita. P. Angelo Sardone