«Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio» (Is 42,1). Nella Settimana Santa, con la straordinaria ricchezza della Liturgia la Chiesa celebra i misteri della salvezza portati a compimento da Cristo negli ultimi giorni della sua vita, a cominciare dal suo ingresso messianico in Gerusalemme fino alla sua Passione. Un elemento importante di riflessione, contemplazione e formazione è la proclamazione dei quattro Canti o «Carmi del servo di Jahwé», riportati dal profeta Isaia tra i capitoli che vanno dal 42 al 53. Oggi, Lunedì santo, è la volta del Primo Canto. Si tratta di un poemetto di pochi versetti nel quale il Servo, figura misteriosa facilmente riconducibile a Gesù, viene presentato come un profeta che è oggetto di predestinazione divina e di una specifica missione. È Dio stesso che lo presenta con termini significativi di condivisione di amore, elezione e compiacenza. Scelto da Dio il Servo, modellato e plasmato, come agli inizi della creazione, viene ricolmato di Spirito, come i giudici e i re, per realizzare la missione di salvezza, non certo facile: portare la giustizia a tutte le nazioni. Il suo tono di voce e di vita è pacato, nonostante che la missione da compiere lo faccia entrare nella realtà del male e della violenza che c’è nel mondo. Rinunzia ad adoperare le armi del male e predilige l’amore e la mitezza non incrinandosi o spezzandosi come la canna. Offre gli occhi aperti ai ciechi, la libertà ai prigionieri, la luce a chi è nel buio. Con criteri molto diversi da quelli umani, affronta la realtà con le armi opposte a quelle adoperate dalla società: la sua apparente debolezza è più forte della forza del male. Ancora oggi, Gesù, servo di Jahwè va in cerca del bene, anche se poco, per poter portare la salvezza all’uomo di oggi. Lo può fare perché è forte, perché ha la pazienza per attendere; può confrontarsi con il male senza avere paura, perché è Dio. P. Angelo Sardone