Mattutino di speranza
Venerdì 29 maggio 2020
La remissione dei peccati è il dono che scaturisce dalla Pasqua. Gesù lo diede agli Apostoli la sera stessa della Risurrezione, insieme al mandato missionario ed all’effusione dello Spirito Santo. Dio concede il perdono dei peccati attraverso il ministero sacerdotale degli Apostoli cui fu conferito con le solenni parole: «A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,22-23). Questa è una verità rivelata, cospicua eredità che Gesù Cristo ha lasciato alla sua sposa, la Chiesa, santa ma sempre bisognosa di purificazione e rinnovamento. Il sacramento, nella sua molteplice accezione terminologica di riconciliazione, penitenza, conversione, confessione, perdono dei peccati, è legato indissolubilmente al ministero sacerdotale ed all’opera vivificante dello Spirito che è virtù di conoscenza e dono di amore. Nel Cenacolo irradiato dalla gioia di vedere, accogliere ed ascoltare il Signore la sera stessa della risurrezione, si svolsero le azioni complementari del Maestro, propedeutiche al dono sacramentale: il saluto di pace dato due volte e l’ostensione delle ferite e del costato aperto. Questo sacramento è il dono incommensurabile scaturito dal Cuore misericordioso del Padre attraverso il mistero della morte e risurrezione del Figlio, con l’effusione dello Spirito Santo! Dio solo perdona i peccati. Ma, per espresso suo volere questa delicata e grave responsabilità è affidata alla Chiesa ed ai suoi ministri che esercitano il potere di assolvere e di perdonare i peccati, come quello di consacrare le specie eucaristiche, esclusivamente in nome ed in persona Christi. Mi convinco ogni giorno sempre di più che la riconciliazione, affidata da 40 anni anche al mio cuore ed al mio ministero sacerdotale è il sacramento più umano, più sensibile e delicato, che trasforma e plasma prima di tutto la mia persona e raggiunge direttamente l’uomo e la donna che mi si affida, la sua grandezza, la sua nobiltà e miseria, attraverso la mediazione di chi non è depositario, ma canale di trasmissione del perdono e della misericordia infinita del Signore. Pur essendo rivestito di debolezza ed inzuppato di fragilità e vulnerabilità dovute al peccato di cui è anch’egli contaminato, il sacerdote è scelto da Dio e dotato principalmente di quella compassione “giusta” e necessaria per quelli che sono nell’ignoranza (Eb 5,2-3). Questa sua identità e matura consapevolezza lo porta e mi porta ogni giorno sull’altare ad offrire il sacrificio per i peccati, a cominciare dai miei e quelli del popolo e, come, Gesù a diventare garante di una “alleanza migliore” e di una intercessione costante per coloro che si avvicinano a Dio (Eb 7,25). A differenza di Gesù che è “santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori” (Eb 7,26), io ho bisogno di offrire sacrifici ogni giorno sull’altare ed essere mediatore dell’amore misericordioso del pastore che va in cerca della pecorella smarrita, gioisce quando l’ha ritrovata e ricondotta all’ovile, accoglie il peccatore e con la tenerezza della madre e la fermezza del padre l’accarezza, l’asseconda, la pone nel segreto più intimo del suo cuore dove ciascuno non è un estraneo, ma prende posto e vi rimane unica ed irripetibile perla incastonata nell’anfratto più segreto e sacro della intimità sacerdotale che rimane misteriosa perché appartiene a Dio. Nell’esercizio di questo grande e fascinoso ministero che racchiude il grande, spaventoso ed inesauribile mistero dell’amore di Dio, il Signore misericordioso ogni giorno mi dona lagrime di compassione e condivisione, anime da amare, e alla rigida scuola della croce, della preghiera e del sacrificio, mi forma e mi abilita cesellatore di speranza, paziente scalpellino della misericordia e del perdono, orafo della tenerezza e dell’amore senza limiti, umile medico che scopre, pulisce e cura le ferite, eterno viandante e compagno di viaggio, cireneo di carità, fratello, amico e soprattutto padre. A tutte le ore ed in ogni ambiente geografico o virtuale. Il dono della grazia santificante supera la pedagogia scientifica ed accademica e la competenza esperienziale del discernimento e dell’accompagnamento e riveste e riempie la mia povera persona di una paternità che non s’inventa, ma che si forma alla scuola dell’amore, trattando miserie, leggendo volumi interi delle storie degli altri, dalle più avvincenti alle più perverse, dai capitoli più esaltanti alle note più terrificanti, gustando gli odori e l’ebrezza dell’innocenza, della bellezza e della virtù, provando ribrezzo per le contaminazioni, le perversioni e gli stravolgimenti di vita dovuti al peccato ed agli operatori di iniquità, voraci avvoltoi delle miserie e delle fragilità umane, ed alle facili ed allettanti menzogne diaboliche. Il Signore dota infine il sacerdote anche di un po’ di follia, quella dell’amore generoso e senza interessi e di un sentimento particolare che va opportunamente compreso, quello che S. Paolo chiama «una specie di gelosia divina». Anche lui, infatti, soprattutto nell’esercizio del ministero della riconciliazione e dell’accompagnamento spirituale, promette l’anima che gli si affida «a un unico sposo, per presentarla a Cristo come vergine casta» (2Cor 11,1-2). Per questo chiedo anche a te il supporto di una preghiera costante perché io non cada sotto il peso della responsabilità della onerosa gestione spirituale e sacra delle anime a me affidate e, soprattutto, perché possa essere via di bene, sentinella di verità e “trasparenza” di quell’amore che accoglie, perdona, condivide, si esalta nel dono, asciuga le lagrime piangendo con chi piange, esulta e gioisce con chi è felice. P. Angelo Sardone