«Sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo condussero davanti al sinedrio» (At 6,12). Stefano, uno dei primi sette diaconi, entra subito in azione col suo ministero non solo di carità, ma anche di eloquente predicazione. Ciò che lo muove è la grazia e la potenza che gli vengono da Dio e gli fanno operare prodigi e segni in mezzo al popolo. Non possono essergli a ruota quelli della sinagoga che non resistono alla sua sapienza ed alla forza con la quale annunzia. Non potendo fare altro ricorrono allo stratagemma della calunnia istigando alcuni a parlare male di lui accusandolo di aver pronunziato cose blasfeme e di non tenere conto della legge di Mosè per via di Gesù che avrebbe sovvertito le sue tradizioni. È tutto quello che basta per condurlo davanti al tribunale. Anche i giudici si rendono conto di stare dinanzi ad una persona particolare dato che il suo viso risplende quasi fosse di angelo il suo aspetto. La forza della parola ed il coraggio imperterrito dinanzi alle vistose e calunniose contraddizioni dei suoi accusatori, sono i numeri più eloquenti di una battaglia che regge dinanzi all’infamia della bugia e dell’invidia. Ogni volta che si mette a disposizione del Signore la propria vita, rispondendo ad una precisa e singolare vocazione, si corre il rischio di infrangere la monotonia anche religiosa che si rivela talora come opzione stagnante di verità, orpello di una vita piatta e forse anche insignificante. Né a ragione si può addurre la guerra contro tutto ciò che non è tradizione comprovata e racchiusa in una legge che non è di libertà ma di cieco asservimento ad una ragione non aperta alla novità di Dio. P. Angelo Sardone