«Sono pieno di zelo per il Signore: gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza. Sono rimasto solo ed essi cercano di togliermi la vita» (1Re 19,14). Nella proclamazione liturgica giornaliera il racconto delle gesta del profeta Elia si conclude con il suo pellegrinaggio verso il monte Oreb, l’incontro con Dio e l’unzione di Eliseo come suo successore. La caverna diviene inizialmente il suo rifugio, ma poi obbedendo alla voce di Dio, Elia esce e si ferma alla presenza di Jahwè che passa. Sono diversi i segni che l’anticipano: il vento, il terremoto, il fuoco. In nessuno di essi si manifesta la presenza. Per ultimo il profeta avverte il sussurro di una brezza leggera e comprende che in essa c’è Dio. Si copre il volto col mantello e si ferma all’ingresso della caverna. Il venticello è il segno evidente dell’intimità della conversazione di Dio col suo profeta. Per l’ennesima volta si evidenzia lo sconforto del profeta nell’impari lotta con tanti oppositori: il re, la regina, i profeti di Baal, gli Israeliti. Il Signore lo rimanda indietro per la triplice azione di investitura ed unzione: Cazaèl come nuovo re di Aram, Ieu, re su Israele ed Elisèo, come profeta al suo posto. Dio non desiste ed invita chi lo segue a non desistere, anzi a concludere la propria missione con la forza che gli viene da Lui, inconsapevole di quanto potrebbe avvenire. Il re della storia e del tempo è Dio che coinvolge i suoi servi fedeli nella realizzazione del suo piano di salvezza. Da sempre la storia dell’umanità credente testimonia la verità di simili comportamenti, di Dio prima e dell’uomo poi. Tutti, comunque, vincenti. P. Angelo Sardone