«Vi saluta la comunità che vive in Babilonia, e anche Marco, figlio mio» (1Pt 5,13). La liturgia ricorda oggi il secondo degli evangelisti, Marco, discepolo di Paolo che lo definisce «nipote di Barnaba», e, soprattutto di Pietro che lo menziona come «figlio». Per lui come per altri personaggi della Scrittura, le notizie non sono molte. La familiarità con Pietro, certamente lo pone in uno stato di grande considerazione, come anche la preziosità dei suoi servizi è attestata da Paolo, nonostante la delusione che gli aveva recato e per la quale non fu portato con lui nel secondo viaggio missionario. Le sue reliquie, secondo la tradizione, da Alessandria d’Egitto, minacciate dagli Arabi, furono trafugate nell’828 da due mercanti veneziani e condotte nella città lagunare della quale divenne patrono, contrassegnandola col simbolo del leone alato. Dalla predicazione diretta dei due santi Apostoli udì tutto quello che riportò nel vangelo, il più corto dei quattro, ma vivace ed immediato. In particolare da Pietro dal quale apprese e trascrisse, seppure non in ordine, le parole e gli atti di Gesù. Restano comunque ignote tante altre notizie. L’appellativo di figlio riservato a lui da S. Pietro certamente richiama il dono del battesimo da lui ricevuto. La città citata nella lettera non è propriamente Babilonia, ma secondo la consuetudine di allora, propria della letteratura rabbinico-biblica attestata anche dal libro dell’Apocalisse, è Roma che diventerà simbolo del paganesimo e dell’immoralità. Auguri a tutti coloro che portano il nome di Marco, perché nella vita possano testimoniare la bellezza e la gioia di essere vissuti accanto a qualche testimone della fede. P. Angelo Sardone