«Vi farò salire dall’umiliazione dell’Egitto verso una terra dove scorrono latte e miele» (Es 3,17). Il dialogo di Dio con Mosè diviene avvincente nella misura in cui Jahwé rivela se stesso ed il progetto di salvezza del popolo da troppo tempo angariato nella terra di Egitto. Liberazione e costituzione come popolo compatto fedele al Signore ed obbediente ai suoi comandi, avverranno di lì a poco, con la mediazione efficace di Mosè, il profeta per eccellenza. La promessa fatta ai Padri troverà la sua realizzazione dopo 40 anni di peregrinazione nel deserto, e sarà la manifestazione della potenza di Dio e della sua conduzione della storia umana. La rivelazione del nome divino è un passaggio graduale di conoscenza ed accoglienza al quale Mosè dovrà adeguarsi. Non è facile recepirne il contenuto e tanto meno riferirlo al faraone ed agli Ebrei. È comunque il nome del Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, il nome che rimarrà in eterno. Il racconto riportato nel testo sacro, è uno dei vertici dell’antico testamento. Attorno alla comprensione del nome «Io sono colui che sono», si sono sviluppati problemi diversi di ordine filologico e teologico. Secondo il parere degli esperti in esegesi, esso significa «Io sono colui che è; io sono l’esistente», cioè il trascendente che agisce nella storia umana e la conduce al retto fine. Per gli Ebrei ciò sarà la terra dive scorre latte e miele, cioè dove c’è abbondanza e prosperità. Le miserie umane frutto della sopraffazione sono sempre monitorate da Dio con i suoi criteri pedagogici ed indirizzate alla soluzione che passa prima di tutto da un affidamento sincero e completo della mente e della vita a Dio. Egli è principio e fine dell’intera esistenza. Solo la fede aiuta a comprendere unendosi alla retta ragione. P. Angelo Sardone