«Gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria» (Dt 26,7). Il rito dell’offerta delle primizie dei frutti del suolo destinati al Signore, è in analogia all’offerta dei primogeniti degli uomini e degli animali. Lo prescrive la Legge. Dovevano essere consegnate al sacerdote di turno che li deponeva davanti all’altare, mentre il pio Israelita faceva la sua confessione di fede che sintetizza la storia della salvezza a partire dalla liberazione dall’Egitto. Tutto è dono: la vita, la terra promessa, i frutti. Un tratto importante di memoria storica è proprio la cattività egiziana, stigmatizzata da crude espressioni che fanno risaltare la schiavitù, l’oppressione, i maltrattamenti, le umiliazioni. In questo particolare stato, lungi dall’abbandonarsi alla disperazione, gli Ebrei si rivolgevano al Signore, il Dio dei Padri gridandogli la dolorosa situazione di vita. L’atteggiamento e l’opera di Dio è segnata da alcuni verbi importanti: “ascoltò la voce, vide l’umiliazione e la miseria, fece uscire dall’Egitto, condusse nella terra promessa, diede copiosi frutti”. La proclamazione di fede diviene preghiera, la storia passata si concretizza nel presente pieno di gratificazione. Il quadro liturgico delinea l’atteggiamento riconoscente dell’uomo verso Dio per la ricchezza dei suoi doni. La libertà ricevuta da Jahwé viene ricambiata con l’offerta delle primizie della terra che a Lui sono riservate. Occorre riconoscere l’abbondanza dei doni ricevuti da Dio in natura e grazia per sentire l’esigenza di offrirGli in cambio le primizie del personale raccolto, dalla terra e dalla vita. P. Angelo Sardone