«La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì» (1Re 17,16). La povertà si raccorda con la carestia e la siccità. Il bisogno di pane per vivere si interseca con la richiesta di un lavoro dignitoso col quale si possano esprimere capacità e doni. M quando non piove per lungo tempo, quando la ricerca di una occupazione diviene un assillo quotidiano e sembra che sia inascoltato il grido del povero e sofferente, solo la fede fa percepire l’intervento della Provvidenza di Dio. La Sacra Scrittura ritiene tra le fasce deboli della società le vedove. L’episodio quasi speculare di due di esse, quella di Sarepta di Sidone risalente al ciclo biblico del profeta Elia e quella del Vangelo, sottolineata dalla precisa indicazione di Cristo, nella opulenta e pur povera società di oggi, diventano uno stimolo per una seria riflessione di abbandono fiducioso in Dio e di autentica ed eroica generosità di cui sono dotati gli stessi poveri. Entrambe le vedove sono anonime proprio perché dietro di loro si celano infinite analoghe situazioni di ogni tempo. Il pugno di farina e le poche gocce di olio utili per confezionare l’ultima focaccia e poi morire, come i due spiccioli gettati nel tesoro del tempio, tutto ciò che la vedova evangelica possedeva, sono gli elementi catalizzatori della generosità delle due donne vessate dalla sventura umana della perdita del marito e, nel contempo, della loro straordinaria generosità che manifestano nel dono di tutto ciò che hanno e di tutto ciò che sono. Finché giunse la pioggia la farina e l’odio non vennero meno. L’unico possesso per vivere, al contrario del superfluo tintinnante del denaro dei ricchi, meritò l’elogio di Gesù: ha dato tutto ciò che aveva. Grande insegnamento per la vita di oggi laddove la povertà non è sconfitta e la brama del possesso è continuamente alimentata. P. Angelo Sardone