«Il Signore è al mio fianco come un prode valoroso, per questo i miei persecutori vacilleranno e non potranno prevalere» (Ger 20,11). Le cosiddette «confessioni» del profeta Geremia sono allo stesso tempo drammatiche ed emblematiche. Sono dette così in analogia alle «confessioni» di S. Agostino e non hanno paralleli nella letteratura profetica. Esprimono la relazione profonda con Dio e tutti i risvolti con i suoi contemporanei ai quali egli dirige la Parola di Dio spesso dura, che lo rende oggetto di derisione e di beffe. Terrore, denunzie, inganni, sono all’ordine del giorno, tanto da sfiancare la psiche ed il fisico di un uomo nativamente semplice ed umile. Vittima di persecuzioni e calunnie il profeta confessa, cioè proclama, la sua resa dinanzi a Dio dal quale si sente sedotto quasi con violenza, e dal quale si è lasciato completamente sedurre, affermando fedeltà assoluta e resa, per il fuoco divorante di zelo e di cieca obbedienza che consuma le sue ossa. Nonostante tutto Geremia confessa la sua piena fiducia in Dio e le sue parole diventano un canto di lode e di abbandono che certifica ed esalta la presenza di Dio e la sua vittoria sui nemici. La prova cui è sottoposto si traduce in affidamento della propria causa con la consapevolezza certa di essere liberato ogni volta dalle mani dei malfattori. Questa forte ed inaudita esperienza di coerenza e di fedeltà al Signore, nonostante la ripugnanza naturale dinanzi al ruolo di scomodo porta-parole, lo rende vittorioso, non per suo merito, dinanzi ad ogni avversario. Si tratta di una lezione di vita per tutti, a cominciare da noi presbiteri, chiamati non a facili ed utilitaristici accomodamenti, ma a proclamare nella verità la Parola di Dio e non le nostre limitate vedute, le supposizioni che annacquano il Vangelo e durano quanto l’erba che spunta al mattino ed avvizzisce la sera (Sal 90,6). P. Angelo Sardone