«Io sono un Israelita della discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino» (Rm 11,1). L’avvento di Paolo nella scena evangelizzatrice della Chiesa primitiva, causò un certo trambusto. Il persecutore direttamente convertito da Gesù sulla via di Damasco, pienamente investito di doni e carismi straordinari, comincio la sua missione con entusiasmo pur in mezzo a tante difficoltà causategli dai Giudei che non potevano comprendere il repentino cambiamento della sua vita. Imperterrito, per quella forza venutagli dal terzo cielo dove era stato trasportato, si diede alla predicazione seguendo la sua vocazione di “apostolo dei gentili”, cioè dei pagani. I suoi viaggi missionari testimoniati puntualmente da S. Luca negli Atti degli Apostoli e le indicazioni significative riportate nelle sue lettere, confermano ampiamente il suo zelo e la sua passione per la salvezza delle anime. Tra queste non potevano non esserci i suoi conterranei, i Giudei che tanti ostacoli gli opponevano. L’eloquente testimonianza che Egli riporta nella lettera ai Romani conferma la sua appassionata apologia di vero Israelita, cresciuto alla scuola di Gamaliele nella più ferrea dottrina, quasi a dire la sua competenza culturale e di vita nella fede accolta dalla Tradizione qualificata del suo popolo. La trasformazione operata dalla grazia di Gesù lo rende ora paladino ed assertore del compimento delle promesse di Dio nei confronti del suo popolo, con la naturale evoluzione ed attuazione apportata da Gesù di Nazaret. P. Angelo Sardone