«Dico la verità in Cristo, non mento, ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua» (Rm 9,1). L’incredulità ostinata dei Giudei, popolo scelto da Dio, procura a S. Paolo una grande sofferenza. La sua emotività viene espressa con chiarezza e semplicità, quasi una sorta di auto-confessione non di debolezza, ma testimonianza di un grande amore per il popolo da cui proviene. Talora una lettura superficiale dei suoi scritti potrebbe lasciare apparire una personalità staccata, fredda, con un giuridismo esasperato. Si tratta invece di un individuo caldo, emotivamente coinvolto in una tenerezza espressiva singolare. Lo Spirito Santo e la sua coscienza attestano il valore ed il peso della sua sofferenza a causa ed a vantaggio dei suoi fratelli Israeliti, consanguinei nella carne, ai quali riconosce una doppia serie ternaria di doni ricevuti da Dio, che lo pongono in una posizione privilegiata: adozione a figli, gloria e alleanze; legge, culto, promesse. Cristo è il dono più grande che supera tutti e che da loro proviene secondo la carne. Il dolore e la sofferenza per il rifiuto di Cristo da parte dei Giudei, induce l’Apostolo a desiderare di essere lui stesso «anàtema», cioè separato dalla gloria, per dare onore a Cristo, cosa che potrà venire dalla loro conversione (S. Tommaso d’Aquino). I parametri di questa esperienza dolorosa si ripetono nella storia dei popoli e della Chiesa anche oggi, quando tanti cristiani rinnegano la fede e vivono come se Dio non ci fosse e tutto dipendesse dalle loro capacità, dall’ingegno e da una florida economia. Quanta sofferenza si genera allora nel cuore e nella vita dei Pastori! P. Angelo Sardone