«Costui persuade la gente a rendere culto a Dio in modo contrario alla Legge» (At 18,13). A Corinto, dove Paolo dimorò un anno e mezzo, i Giudei infastiditi dal suo insegnamento ed inferociti contro di lui, lo condussero unanimi in tribunale davanti a Gallione, proconsole dell’Acaia. Chiedevano conto e ragione del suo insegnamento che ritenevano contrario alla Legge mosaica, allora protetta dalla legge romana. Egli non faceva altro che insegnare la Parola ma evidentemente il suo modo di porgerla ed il messaggio sotteso, non si allineava affatto col loro modo di vedere. L’unico modo per reagire era quello di tradurlo dinanzi alla pubblica autorità. Paolo, dal canto suo si sentiva fortificato non dalla sua capacità di sopportazione, ma dalla grazia del Signore che in una visione gli aveva assicurato che non gli sarebbe stato fatto alcun male, anzi lo aveva incoraggiato a continuare a parlare col medesimo tono. Vi era infatti un popolo numeroso che Cristo stesso andava formandosi. Illuminato e colmo di buonsenso fu proprio Gallione che si tirò fuori ritenendo che quelle questioni di nomi e di usi, appartenessero esclusivamente alla mentalità ebraica e non rientravano in un misfatto o un delitto degno di essere da lui giudicato. Invece ebbe la peggio Sostene, il capo della sinagoga, artefice della insurrezione, che fu malmenato dalla gente esasperata. Paolo continuò il suo ministero. Tante volte si vuole fare entrare l’autorità civile sottoponendo al giudizio profano verità che appartengono al credo ed al deposito della fede. La saggezza di alcuni amministratori pubblici, per fortuna, riconosce e demanda all’autorità religiosa costituita il potere di intervento, evitando ingerenze importune e fuorvianti. P. Angelo Sardone