«Quelli che vogliono arricchirsi, cadono nella tentazione, nell’inganno di molti desideri insensati e dannosi, che fanno affogare gli uomini nella rovina e nella perdizione» (1Tim 6,9). La seconda parte della prima lettera a Timoteo contiene raccomandazioni pratiche che fanno riferimento a categorie diverse di persone: le vedove, i presbiteri, gli schiavi i falsi dottori. Soprattutto verso questi ultimi Paolo adopera una sottile ironia soprattutto quando affronta l’argomento della pietà che, dice, è utile a tutto ed è un grande guadagno spirituale. Esso è tale, quando non vi si specula sopra e ci si sa accontentare di ciò che è indispensabile per vivere. Si tratta di realtà molto comuni a quel tempo, di fronte al pericolo della ricchezza, divenute come massime, saggiamente riportate dall’Apostolo, così come rilevate dalla sapienza dell’Antico Testamento. E ciò vale in tutti i campi, da quello propriamente sociale ed economico a quello spirituale e religioso. Il denaro e la ricchezza traggono facilmente in tentazione perché l’uomo, per la natura contaminata dal peccato, è incontentabile, desidera sempre più ed a tutti i costi. Questo modo di essere e di fare, determina rovina e perdizione che sono frutto talora di desideri insensati ed oltremodo dannosi. La realtà della vita di ogni giorno fa fare i conti con queste situazioni per niente insolite che vedono anche buoni cristiani di tutti i ceti, vittime incaute della ingordigia del possesso e del dominio. Il Signore Gesù ha offerto come antidoto la scelta preferenziale della povertà che non soltanto rende liberi, ma dà la garanzia del possesso del regno dei cieli. P. Angelo Sardone