«Prendilo e divoralo; ti riempirà di amarezza le viscere, ma in bocca ti sarà dolce come il miele» (Apc 10,9). Nel prosieguo della sua visione, ad un certo punto appare a Giovanni un Angelo disceso dal cielo, molto probabilmente l’Arcangelo Gabriele, che reca in mano un piccolo libro aperto. Una voce misteriosa, evocando quanto già era successo nel Vecchio Testamento col profeta Ezechiele, comanda al profeta di prendere il libro nella mano dell’Angelo e di mangiarlo. L’episodio paradigmatico indica una sorta di appropriazione particolare e di assimilazione del libro e del suo contenuto rivelatorio. La stessa voce lo preavverte che nel mangiarlo proverà un effetto duplice: il contenuto sarà amaro nelle viscere e dolce nella bocca. Il linguaggio figurato evoca la portata della Parola di Dio che in questo caso, trattandosi di una situazione apocalittica ed escatologica, ha un rilievo particolare per ciò che è e per quanto produce. La missione della Parola ieri come oggi, è quella di profetizzare. Il contatto con la Parola di Dio deve avvenire sempre in termini molto discreti di obbedienza e di accoglienza. Essa è dolce nella bocca perchè quando la si accoglie riempie di gioia, amore e verità; ma è anche amara alle viscere, perché provoca sofferenza e chiede al cuore di attuare una vera conversione, evidenziando il male che è dentro l’uomo. La dolcezza evocata è quella del miele che trova spazio in molteplici passi della Sacra Scrittura e che per gli antichi risanava e serviva per scacciare i demoni. L’amarezza è determinata dalla portata solida della Parola che spesso esplicita annotazioni ed indicazioni anche in contrasto col comune sentire, ma che orientano sempre al bene. P. Angelo Sardone