«Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi fedeli» (Sal 115,6). Nella notte tra il 14 ed il 15 dicembre 1904, all’età di 73 anni, in un quartino del Palazzo de Laurentis ad Altamura, città della Murgia barese, nella quale viveva da sei mesi, da quando era giunta in incognito dalla Francia per prepararsi alla morte, concludeva la sua vita terrena Melania Calvat, la veggente di La Salette. Insieme con Massimino Giraud il 19 settembre 1846 sulle Alpi francesi nei pressi di Corp, aveva visto la Madonna che aveva loro parlato lamentando l’inosservanza del precetto festivo e le bestemmie contro il nome di Dio ed aveva dato a ciascuno un segreto da rivelare al mondo tempo dopo. Proprio il segreto e la fedeltà alla Vergine Riconciliatrice dei peccatori, l’aveva resa raminga per l’Europa, dalla Francia all’Inghilterra, dalla Grecia all’Italia dove era stata accolta a Castellammare di Stabia e nei dintorni (1867-1892), a Galatina (1892-1897), a Messina (1897-1898) da S. Annibale M. Di Francia per rimettere in sesto l’Istituto delle Suore Figlie del Divino Zelo, ed infine ad Altamura sotto la protezione del vescovo Carlo Giuseppe Cecchini. Qui era conosciuta come una «signora francese», sistematica nel frequentare ogni giorno la Messa in cattedrale e poi ritirarsi in casa dove spesso riceveva sacerdoti francesi. La morte la colse di notte. Lei stessa l’aveva predetto tempo prima alla sua amica Maria Janin: «Io morirò in Italia, in un paese che non conosco, dove non conosco nessuno, paese quasi selvaggio ma dove non si bestemmia il buon Dio e dove lo si ama! Io sarò sola! Un bel mattino si vedranno le mie persiane chiuse, si aprirà forzando la porta e mi si troverà morta!». Dal 1918 la sua salma riposa nell’Istituto antoniano femminile delle Figlie del Divino Zelo ad Altamura appositamente aperto dal santo Fondatore per dare «quiete e riposo alle stanche e travagliate sue ossa». L’atto di morte trascritto nel Libro dei Morti 1904 della Cattedrale di Altamura, porta la data del 14 dicembre. La stessa cosa fece S. Annibale incidendolo nella lapide sepolcrale. P. Angelo Sardone