«Dio vi farà uscire da questa terra, verso la terra che Egli ha promesso con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe» (Gen 50,26). La storia del patriarca e grande eroe Giuseppe conclude il libro della Genesi e si chiude con questa profezia. Giacobbe morì in terra d’Egitto; fu fatto imbalsamare in quaranta giorni e fu pianto per settanta giorni. Dal figlio Giuseppe, secondo il giuramento che egli stesso aveva fatto al padre, fu portato a Macpela in Canaan per essere seppellito, accompagnato dai ministri del faraone e una imponente carovana. Contrariamente a quanto potevano pensare i suoi fratelli ancora impauriti soprattutto dopo la morte del padre, Giuseppe fu oltremodo clemente con loro, assicurandoli che il male che gli era stato fatto, da Dio stesso era stato indirizzato al bene. Il testo sacro presenta Giuseppe come un modello cui ispirarsi che, generoso e pronto, accorda il perdono, mantiene l’unità familiare e non permette che le dispute possano infrangerla. Il grande patriarca per il ruolo che assume, diviene profeta quando ribadisce ai suoi fratelli ed alla Casa di suo padre che la loro permanenza in Egitto sarà temporanea perché Dio, che non viene meno al suo patto, li visiterà e li farà tornare nella terra promessa agli antichi Padri. La terra straniera costituisce solo momentaneamente un punto di appoggio ma si apre alla definitiva collocazione in Canaan con la mediazione di Mosè e Giosuè. Questo tratto di storia di salvezza, rimane un paradigma al quale fare riferimento per la storia di tutti i tempi e di tutte le situazioni, soprattutto familiari. P. Angelo Sardone