«Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra» (Is 49,6). Con largo anticipo la liturgia proclama oggi l’inizio del secondo Canto del Servo di Jahwé, specificando il suo ruolo di luce delle nazioni. La solennità del Natale del Signore aveva presentato il Messia come portatore di luce, anzi come Luce egli stesso. Nell’ordinarietà del cammino verso il mistero della Pasqua, questo tema ritorna come base essenziale dell’identità del Figlio di Dio, per diradare con la sua luce le tenebre del mondo immerso nel peccato. Le origini dell’universo sono contrassegnate dalla creazione della luce a seguito della quale tutto fu possibile, proprio come succede nella realtà. Nel buio non si può far nulla, si rimane inerti ed in attesa. Nel linguaggio biblico la luce è anche sinonimo di salvezza: dovunque essa arriva porta visibilità, toglie la paura rende chiara ogni cosa. Il compito del Messia è far luce sul buio del mondo, interessando tutto e tutti, giungendo fino ai confini estremi della terra e tutte le nazioni. La metafora si tramuta in realtà quando si fa direttamente esperienza della luce dopo il buio, della grazia dopo il peccato. Chi vive nella luce, fa le opere della luce, avverte la stessa Parola di Dio. La luce che proviene da Cristo accende la vita di chi lo segue, in modo che egli stesso possa diventare luce e spargerla con abbondanza ovunque, raggiungendo anche le estremità del mondo con le proprie azioni e il proprio pensiero. Se hai la luce, portala a chiunque incontri sul tuo cammino! P. Angelo Sardone