«In me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7,18-19). Da fine conoscitore dell’uomo, sulla base della sua personale esperienzaS. Paolo descrive così con chiarezza il cuore dell’uomo. In lui, infatti c’è il desiderio del bene, la promessa di farlo, consapevole della sua portata e ricchezza, ma poi si avvede di non riuscire a farlo perché sopraffatto dal peccato che lo induce al male che non vuole. Nel cuore dell’uomo il peccato forma una “legge di concupiscenza”, laddove il desiderio-volere e il fare spesso non coincidono. Ciò evidenzia il conflitto tra la legge di Dio, la “legge della mia mente” e l’altra legge “che rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra”. L’uomo possiede la capacità di distinguere il bene e il male, con la ragione conosce e approva i mezzi migliori per raggiungere il proprio fine. Ma poi segue il male. Ovidio, un poeta latino del I secolo a.C. nella sua opera “Le metamorfosi” mette sulla bocca di Medea che per l’amore di Giasone viene meno ai proprî doveri verso il padre e la patria, queste parole: «Vedo le cose migliori e le approvo, ma seguo le peggiori». Anche il poeta italiano Francesco Petrarca ripete quasi alla lettera nel suo Canzoniere: «E veggio ’l meglio, et al peggior m’appiglio». Si vive allora una sorta di discolpa, perché se ci si trova a fare ciò che non si vuole, non ci si sente responsabili: la colpa e la responsabilità è del peccato. Sono pensieri che rispecchiano l’opinione comune di ogni tempo. La libertà da questo labirinto inestricabile è opera di Gesù Cristo nella misura in cui davvero a Lui ci si affida. P. Angelo Sardone