«Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo!» (Gal 1,10). Subito dopo la predicazione di Paolo nella terra di Galazia, alcuni ebrei cristiani improvvisatisi missionari avevano creato tra la gente confusione e turbamento affermando l’incompletezza del messaggio e la fondamentale ed esclusiva importanza della Legge di Mosè. Tra il 54 e il 57 Paolo scrive loro la sua lettera, affermando l’importanza della fede che genera la salvezza. I vincoli della legge mosaica sono superati dalla fede in Cristo e nel vangelo predicato recentemente. Grande è la meraviglia dell’apostolo dinanzi alla fede vacillante dei Galati che passano in fretta ad un altro vangelo più accomodante e vincolante alla tradizione. Per questo assume un tono deciso ed intransigente affermando che se finanche un angelo dal cielo annunziasse loro un vangelo diverso da quello accolto dalle sue labbra, ciò non solo non sarebbe corretto ma è addirittura maledetto. Il tono è dichiaratamente duro perché vuole combattere la leggerezza con la quale i cristiani passano facilmente da una parte all’altra, secondo forme di convenienza o di instabilità ed immaturità nell’accoglienza di quanto proposto. Il vangelo annunziato non è opera di uomo o di angelo, ma proviene direttamente dalla rivelazione di Cristo. E su questo non si transige. Sembra di leggere una pagina di attualità che disorienta chi è instabile ed irrita fortemente chi si è dato da fare non badando a fatiche e sudore nel proclamare qualcosa che gli non appartiene ma che proviene invece dall’alto. La fedeltà a quanto ricevuto in fatto di fede, è segno concreto di maturità e di coerenza. P. Angelo Sardone