«Il nostro Dio ci ha resi graditi ai re di Persia, per conservarci la vita ed erigere il tempio del nostro Dio» (Esd 9,9). Il libro di Esdra contiene una preghiera da lui innalzata al colmo della costernazione per aver appreso che il popolo d’Israele e particolarmente i sacerdoti ed i leviti, una volta rimpatriati, non si erano separati dai culti e dagli abomini delle popolazioni locali. I gesti che compie sono tipici di una situazione di enorme disagio: si lacera il vestito ed il mantello, si strappa i capelli e la barba e si siede addolorato. La preghiera è una sorta di confessione proclamata nel pianto e nella vergogna. È una candida ammissione delle colpe del popolo moltiplicate a dismisura. Nonostante ciò e la schiavitù subita a causa dei peccati, Dio ha fatto la grande grazia di liberare un resto dandogli asilo in un luogo santo. Nella sua bontà li ha resi graditi ai re di Persia che li hanno favoriti permettendo che tornassero nella loro patria per ricostruire il tempio, restaurare le sue rovine ed avere finalmente un riparo in Giuda e a Gerusalemme. Questa bellissima preghiera è definita anche una predicazione e si ispira ai profeti. La giustizia di Dio viene superata dalla sua misericordia, perchè è una giustizia che porta la salvezza. Ai superstiti, consapevoli della loro colpevolezza, Dio concede di ricominciare. Il tratto storico appesantito dalla colpa di aver aderito agli abomini e alle nefandezze che si traducono in idolatria, diviene la griglia entro la quale può iscriversi anche oggi la preghiera dei cristiani che vanno rendendosi sempre più un piccolo resto chiamato dal di dentro a ricostruire su basi più solide e a farsi compattare da Cristo. P. Angelo Sardone