«Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk» (Es 17,11). Il cammino del popolo di Israele nel deserto è contrassegnato da tante difficoltà: mancanza di cibo e di acqua, guerra contro re e popoli per avanzare verso la terra promessa. Per le difficoltà alimentari, ci pensa Jahwé donando giornalmente la mamma, facendo scaturire acqua dalla roccia, dando le quaglie come carne. Ad affrontare le popolazioni ed i re ci deve pensare Mosé ed il suo fiduciario Giosuè, ma la vittoria appartiene sempre a Jahwé. Il ruolo di Mosé è quello di mediatore ed intercessore. Dinanzi alle continue ribellioni e mormorazioni il condottiero, pur stanco di un popolo dalla dura cervice, affronta ogni cosa ed affida a Dio la risoluzione. Nella battaglia contro Amalek, mentre Giosuè è nella valle a combattere, Mosé si stacca dal popolo e si isola sul monte per pregare e chiedere al Signore il sostegno nella lotta e la vittoria. Il suo gesto è la sua postura sono quelli dell’orante: le braccia alzate al cielo. Ma col tempo sente la stanchezza ed è costretto a sedersi ed a farsi sostenere le braccia da due che gli sono accanto, Aronne e Cur. Le mani levate al cielo sono il segno della invocazione ed è immediata la risposta propizia di Dio che si riverbera nel campo di battaglia con la vittoria degli Ebrei. Si tratta dei primi arcaici insegnamenti e testimonianze bibliche sulla forza e l’efficacia della preghiera, esemplificati dal tratto storico che rende più concreto e visibile l’intervento di Dio. È sottolineato così il grande valore dell’intercessione. Chi è nella valle a lottare deve essere sempre sostenuto da chi sul monte per vincere invoca l’aiuto che viene dal Signore. P. Angelo Sardone