«Figlia mia tu mi hai rovinato! Ho dato la mia parola al Signore e non posso ritirarmi» (Gdc 11,35). Uno dei Giudici minori fu Iefte, figlio di Galaad e di una prostituta. La storia che ruota attorno a lui ed al suo voto è davvero emblematica e significativa e lo assimila ai maggiori. Fu scelto da coloro che lo avevano prima ripudiato per via della sua situazione, e divenne condottiero per combattere gli Ammoniti. Per propiziarsi il Signore fece a Lui voto che al ritorno della disfatta dei nemici, chiunque di casa sua gli fosse andato incontro, sarebbe appartenuto al Signore e l’avrebbe offerto in olocausto. Malauguratamente la prima a presentarsi fu sua figlia, l’unica sua figlia, la quale assolutamente ignara della promessa del padre gli era andata incontro con tamburelli e danze per fargli festa. La disperazione del padre si espresse con drammatiche parole che si concretizzarono anche col drammatico gesto del suo sacrificio. Prima di questo il padre le spiegò il suo impegno col Signore e l’impossibilità di venire meno alla parola data. La fanciulla comprese e chiese solo di andare per i monti con le sue compagne a piangere la sua verginità. Infatti non aveva conosciuto uomo. Si tratta dell’unico caso nella Bibbia di sacrificio umano ultimato, vittima innocente di una ragione di stato. Il voto di Iefte non era strettamente necessario, né era espressione della fiducia totale in Dio, ma quasi a volerLo legare per la positiva conclusione della guerra. Si manifesta in ultima analisi come un atto superficiale ed idolatrico. La figlia piange la sua verginità nel senso che, offerta al Signore, non avrà la possibilità di essere feconda nella generazione di un figlio. Molteplici sono le considerazioni che si possono trarre. P. Angelo Sardone