«Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa» (Is 58,11). Il digiuno voluto dal Signore più che una pratica rituale consiste nella condivisione del pane materiale e spirituale con chi è nel bisogno, nella accoglienza in casa di chi è nell’indigenza, nel ricoprire di abiti e di dignità chi ne è privo, senza distogliere gli occhi da chi è più vicino. Molte volte, infatti, nella tensione dello sguardo oltre l‘orizzonte si perdono di vista persone e situazioni che sono sotto il naso. La filantropia o una discutibile visuale di carità spesso allarga l’orizzonte ai confini della terra e rende presbiti nei confronti di se stessi e degli altri. Le condizioni divine enunciate dal profeta Isaia sono precise e chiare: il Signore guida, sazia e rinvigorisce corpo ed anima se si elimina l’oppressione, se si smette di puntare il dito verso le colpe e le responsabilità altrui, se si smette di parlare sempre male degli altri, se si condivide il pane con chi ha fame, se si sazia chi è digiuno. Non si tratta dunque di semplici concetti ma di opere concrete che tutti possono compiere. Secondo gli insegnamenti del Magistero della Chiesa nella penitenza vi è un intimo rapporto e conseguenza tra «l’atto esterno e la conversione interiore, la preghiera e le opere di carità». A noi sacerdoti spetta il compito di inculcare, a preferenza di altre, qualche speciale forma di penitenza perché si dia una testimonianza veritiera di carità verso fratelli e sorelle che soffrono nella povertà e nella fame, e che non sono in nazioni e continenti lontani da noi, ma forse vivono nello stesso pianerottolo di casa, nel proprio quartiere o sono presenti nella stessa comunità parrocchiale. Così si può avere la garanzia di un percorso autentico di conversione e penitenza. P. Angelo Sardone