Mattutino di speranza
Lunedì 11 maggio 2020
Una delle maggiori sofferenze che si possono provare nella vita, al di là di quella fisica, è il rifiuto dell’amore. La si sperimenta dura, pesante, mortale, soprattutto quando il rifiuto è mascherato da buone maniere, frasi gentili e lusinghiere, che rivelano però alla mente ed al cuore intelligente, il vero pensiero e la decisa determinazione dell’interlocutore. Mi ha fatto sempre impressione sin da quando ero bambino il tratto di un canto del Venerdì santo messo sulla bocca di Gesù: «Popolo mio che male ti ho fatto? In che ti ho contristato? Dammi risposta!» come anche un’altra frase che riecheggia nel cuore in particolari momenti di sofferenza e di angosciante solitudine: «Quae utilitas in sanguine meo?», «Quale utilità ne verrà dal versamento del mio sangue?» (Sal 30,10). Gesù il Figlio di Dio, nella sua dimensione umana ha vissuto anche questo tormento che lo ha portato però al silenzio, al perdono, mai alla vendetta. Finanche sulla croce mentre stava morendo, il suo pensiero e la sua preghiera erano per i violenti crocifissori, ignari di quello che stavano facendo. Penso spesso a queste realtà che sono difficili da capire e tragiche nella loro essenza. Penso a quando gli innamorati scoprono di volersi bene e si dichiarano amore eterno, e poi, dopo il frettoloso consumo di amore con gesti ed azioni che richiedono responsabilità mature e sincere e che a volte durano anche anni fino a svuotarsi dei loro significati profondi e sacri, tutto finisce. Penso ai genitori che dopo essersi presi cura dei propri figli, si trovano dinanzi alla novità dei voltafaccia per le scelte che essi compiono, stimolati talora da ambienti, persone, situazioni nuove, facili convenienze. Penso al dono sacro della vera amicizia, che sgorga dal cuore come fonte pura di affetto e di amore senza interessi, e che poi, per motivi diversi, complici anche il tempo, le situazioni ed i fatti della vita, svanisce nel nulla. Penso anche a noi sacerdoti, dediti al servizio dei fratelli con una vocazione misteriosa votata esclusivamente all’amore incondizionato verso tutti, soprattutto i più deboli ed indifesi di qualunque età, quando dopo essere stati acclamati, osannati, o, come si dice oggi sui social, lusingati con la reazione dei “like” che non costano nulla e sono parvenza di attenzione, siamo lasciati soli ed incompresi nell’unica nostra ragione di vita che è l’amore per Dio e per il prossimo! Queste considerazioni che possono sembrare pessimistiche e che forse un po’ tutti facciamo, in fondo possono essere reali e risolversi in bene con un’ottica spirituale di comprensione, silenzio, offerta. Quando la cosa persiste, la sofferenza e le lagrime nascoste, la preghiera continua e fiduciosa, proprio come ha fatto Gesù, diviene la più efficace terapia per noi e per gli altri. Bisogna imparare a saper attendere ed anche, se occorre, farsi da parte con la consapevolezza che il bene che è stato seminato rimane, ed anche quando uno non se ne avvede o non ci pensa, se è finito nella profondità del terreno del cuore, prima o poi sboccia, cresce e porta frutto. In un retto e coscienzioso cammino di vita umana e cristiana si comprende allora che è indispensabile la coerenza, laddove pensare, dire e fare devono essere in stretta e continua armonia, laddove bisogna sforzarsi tenacemente di bandire dalla propria vita un atteggiamento disdicevole di contraddire con parole e fatti ciò che si pensa e si afferma. La coerenza di Gesù è stata eroica ed ha portato buoni frutti. Se noi lo imitiamo, la sofferenza per il rifiuto dell’amore, in qualunque condizione o situazione di vita si manifesti, anche con toni soffocati di dolore intimo, sarà sopportabile e produrrà un cambio energico di mentalità e di sostanza buona della vita. P. Angelo Sardone