263. «Io muoio innocente di quanto essi iniquamente hanno tramato contro di me» (Dn 13,43). Il grido disperato di Susanna, eroica ed innocente fanciulla accusata di adulterio, diviene agli occhi di Dio preghiera accorata e suscita lo sdegno del profeta Daniele che, non convinto del verdetto di morte pronunziato su di lei, smaschera i due anziani accusatori, vittime del loro libidinoso desiderio. La giovane fanciulla ebrea, donna di rara bellezza e timorata di Dio, moglie di Joakim, fu sorpresa nel giardino a fare il bagno dagli sguardi rubati ed indiscreti di due anziani della comunità giudaica a Babilonia. Essi, giudici del popolo, come avevano fatto con tante altre donne, volevano indurla con la forza, pena la calunnia, a giacere con loro. Per la sfrenata voglia passionale, la facile calunnia era nelle loro mani il potere più efficace per indurre le donne a compiere atti immorali che, secondo la Legge, provocavano la sentenza di condanna a morte senza appello. Il grido a gran voce nel pianto sfocia nella preghiera fiduciosa al Signore che vede e sa tutto. Il racconto dei due perversi è confutato dall’evidenza della realtà: nessun giovane era mai entrato nel giardino; il formidabile ricatto dei due vogliosi voleva ripagare con moneta pesante il suo rifiuto. Ma lo Spirito della verità che trionfa, attraverso un giovanetto, Daniele, dichiara l’assoluta innocenza della donna dopo un raffronto giudiziario coi due vecchioni che, separati, danno versioni completamente differenti dei fatti e confessano così il loro imbroglio e la calunnia. Vengono messi in evidenza gli abusi del potere e dei procedimenti giudiziari. L’innocenza della donna pudica viene difesa e la calunnia di uomini perversi e potenti è punita. È storia anche di oggi: tante innocenti non hanno la sorte di Susanna ma sono giudicate ingiustamente, vilipese nella loro identità, condannate ed uccise anche dal comune giudizio. P. Angelo Sardone