258. «Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato» (Is 49, 14).
Un ritornello ricorrente presso il popolo di Israele, accorato e sfiduciato, accusava Dio di averlo dimenticato e lasciato alla mercé del suo destino. Già dall’uscita dall’Egitto questo pensiero era dominante nella mente degli Ebrei che si rivoltavano contro Dio e contro Mosé. Le esperienze drammatiche dell’esilio, le deportazioni nel corso dei secoli confermeranno questo disappunto. I profeti, cultori della fede pura in Jahwé, tentano in ogni modo di orientare il popolo a riconoscere che Dio è paziente, generoso, provvidente e soprattutto vicino a ciascuno. Nonostante ciò la delusione e l’amarezza della contraddizione porta il popolo a convincersi e ad affermare che il Signore lo ha veramente abbandonato e dimenticato. È una accusa impropria e disincarnata dalla realtà. Il Signore risponde prontamente non per scusarsi ma per affermare la realtà dei fatti agganciandosi ad un esempio, il più naturale e toccante nelle relazioni umane. Una donna può dimenticarsi del suo bambino, può non commuoversi per il figlio che ha generato dalle sue viscere? Anche se ciò, per quanto disumano possa essere, dovesse succedere, il Signore protesta e afferma in maniera categorica e determinata: «Io, invece, non ti dimenticherò mai». L’esperienza umana e cristiana porta spesso a trovarsi in analoghe condizioni ed a fare le stesse affermazioni quando il dubbio, la solitudine, la necessità, la malattia, la precarietà, la morte, la fanno da padroni. Dio continua a dire: «Io non ti dimenticherò mai». P. Angelo Sardone