«Li ricondurrò a fiumi ricchi d’acqua per una strada dritta in cui non inciamperanno» (Ger 31,9). Il compito del profeta è annunziare una parola non sua, mettendo a disposizione del Signore la sua vita, la sua mente, la sua bocca, in perfetta obbedienza. Tra i quattro profeti maggiori svetta Geremia (650 a.C.), un uomo la cui vita corre di pari passo con le vicende storiche del suo popolo. Gli avvenimenti della sua vita personale sono noti più di ogni altro profeta. Nonostante sia portatore di una parola spesso dura e riprovevole per una genìa di ribelli, nella tenerezza del suo cuore si lascia andare ad espressioni di grande speranza e di fine delicatezza. La salvezza viene da Dio che raduna il popolo da ogni parte ed in ogni condizione sociale e fisica e lo riporta ad una situazione di prosperità e di sicurezza. I termini ricalcano il pianto, la gioia, la prosperità delle acque rigogliose dei fiumi, la strada del ritorno, senza pericoli. È il peccato che rende l’uomo vittima di se stesso ed in balia delle sue ambizioni e traviamenti. La fiducia e l’abbandono nelle mani di Dio, sortisce l’effetto della benevolenza del Signore che è Padre e che come tale non fa mancare mai ai figli il necessario per una vita serena e per un ritorno adeguato a Lui. Nel cammino di fede bisogna avanzare, anche quando si è zoppi, ciechi, inadeguati ad un progetto d’amore e ci si sente immeritevoli di perdono. È il Signore e Lui solo che salva: tutti gli altri, sacerdoti compresi, sono mediatori e strumenti, non salvatori, né miti, ma semplicemente persone dotate di compassione, rivestiti loro stessi di debolezza. P. Angelo Sardone