«Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà» (Sap 3,1). Il testo classico proprio della liturgia della Parola nelle Messe esequiali viene presentato dalla Liturgia odierna come un richiamo essenziale e realistico alla condizione di coloro che non sono più nella vita terrena e godono la visione delle cose celesti. Il ricordo di chi non è più nella schiera dei viventi non è solo un sentimento umano, nobile e salutare, ma un dovere che nasce dalla natura e fa considerare il senso della vita che passa, delle creature umane, della sofferenza e della prova, del successo e della caducità delle cose. La sorte dei giusti messa a confronto con quella degli empi, è esaltata dalla certezza di fede che viene direttamente da Dio che assicura che essi sono sotto la sua protezione e la sua dipendenza. La lettura della vita soprattutto nelle battute ricche di dolori e della prova della sofferenza anche fisica, fa acquistare nella logica di Dio una conoscenza diversa dalle categorie propriamente umane segnate dal peccato e dalle sue conseguenze. La fine umana viene ritenuta una sciagura ed una rovina, e per tanti versi lo è. Quelli che sembrano i castighi molte volte sono le conseguenze della situazione delineata come empia. Alla pena, anche limitata e piccola, subentrano i grandi benefici che Dio riserva per i suoi giusti. Nei momenti del dolore acerbo per la perdita di una persona cara affiorano alla mente pensieri confusi che letti in una dimensione umana possono allontanare da Dio, ma considerati nell’ottica di fede acquistano significati e conseguenze completamente diversi. Le presenti giornate illuminate dal ricordo dei defunti, si rivelano insegnamenti efficaci e veri anche per chi non crede nel futuro radioso del Cielo. P. Angelo Sardone