«Esci e fèrmati sul monte alla presenza del Signore» (1Re 19,11). Il ciclo biblico del profeta Elia è corredato da episodi diversi attraverso i quali il Signore lo conduce nella realizzazione della sua vocazione di profeta di fuoco, che si porta addosso la stanchezza del suo servizio ed anche la illimitata obbedienza al vero e potente Dio. La tappa del monte Oreb segna come la svolta ulteriore di fede che il Signore stesso gli chiede, per segnare con la sua esperienza l’itinerario concreto del cammino in Dio. Il comando di Jahwé è perentorio: «esci e fermati». La paura, il dubbio, i condizionamenti umani di timore e tremore dinanzi allo strapotere arrogante del re Acab e Gezabele lo hanno debilitato e chiuso in una melanconica considerazione della vita, fino a desiderarne la conclusione. Deve uscire da se stesso e fermarsi in alto, sul monte perché è lì che incontrerà il Signore che gli si manifesterà nella forma giusta e potrà godere della sua presenza. Le modalità della teofania sono quattro: il vento impetuoso, il terremoto, il fuoco, il mormorio leggere della brezza. Solo in quest’ultima il profeta riscontra con certezza la presenza di Dio. È qui sotteso un grande insegnamento, valido per ogni tempo e per ogni condizione sociale e religiosa: nell’esperienza umana con la molteplicità delle situazioni provvide e dolorose, la manifestazione di Dio non avviene con le cose strepitose e rumorose: il vento che spacca ogni cosa, il terremoto che devasta, il fuoco che consuma, ma nel venticello leggero come la brezza del mattino, il mormorio ed il dolce sussurro del cuore che penetra nella profondità dell’essere. Qui si configura nella certezza la presenza di Dio e la sua formidabile azione salvifica. P. Angelo Sardone