Mattutino di speranza, 26 giugno 2020.
La vita dell’uomo spesso sfocia in lamenti, passeggeri o continui, intensi e gravi, comprensibili o patologici. Problemi esistenziali, preoccupazioni diverse, vicissitudini varie che ruotano attorno ai più disparati aspetti della vita, dalla perdita del lavoro alla malattia, dalla sofferenza all’invecchiamento, dalle delusioni alla morte, attanagliano l’esistenza umana e determinano uno stato di agitazione, di confusione, di rammarico e dolore che si esprime spesso con il lamento ed il pianto. I lamenti e le lagnanze sono espressioni di insoddisfazione, risentimento, delusione, dolore, manifestazioni di un groviglio di sofferenze ed emozioni turbative. La tradizione biblica conserva un testo attribuito al profeta Geremia, le «Lamentazioni» che fa riferimento alla disfatta di Gerusalemme conquistata e distrutta il 587 a.C. In cinque carmi il profeta descrive il grande dolore causato dall’assedio, la cattura e la distruzione della città santa ad opera di Nabucodonosor, re di Babilonia. Esprime la pena profonda per la desolazione, la miseria, la confusione, la fame, realtà tutte intese come castigo divino per i peccati del popolo, dei profeti e dei sacerdoti. Nonostante il tenore fortemente drammatico, il libro termina con una nota di speranza: «Tu, Signore, rimani per sempre, il tuo trono di generazione in generazione. Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo, rinnova i nostri giorni come in antico» (Lam 5, 19-21). Nella storia del popolo eletto i profeti sono stati gli interpreti del disagio di Israele: «Ascoltate questa parola, questo lamento che io elevo su di voi, o casa d’Israele!» (Am 5,1). La Parola di Dio assicura che il Signore ascolta il lamento per l’ingiustizia (Gen 16,11), nel tempo del lutto, della prova (Es 2,24) e tiene particolarmente in considerazione il lamento dei poveri (Gb 34, 28) che diventa preghiera (Sal 5,2). Una esperienza significativa alla quale si possono rapportare situazioni analoghe di tutti i tempi, è la vicenda biblica di Rachele sposa di Giacobbe e madre di Giuseppe che muore nel dare alla luce il suo secondogenito, Beniamino (Gen 35,16-19). Il profeta Geremia si ispira al suo lamento prima per avere il dono della maternità e poi nel momento della morte nella generazione di una nuova vita, per dare consolazione e speranza agli Israeliti in esilio a Babilonia: «Una voce si ode a Rama, un lamento e un pianto amaro: Rachele piange i suoi figli, e non vuole essere consolata per i suoi figli, perché non sono più» (Ger 31,15). Rachele di ieri e di oggi, piange per i figli, membri della sua famiglia, del suo popolo che per la sistematica distruzione dei valori, per le situazioni ambientali, climatiche e pandemiche, per l’esilio dalla verità e dalla luce, gli errori commessi per la fragilità umana, “non sono più”, sono morti o muoiono spiritualmente. È un dolore profondo ed un pianto amaro che solo Dio può consolare. Non bastano le parole condite di senso umano di partecipazione al dolore e di vicinanza. Molte volte è meglio il silenzio o qualche gesto di amore, una carezza, un sorriso. Analogo è il lamento ed il pianto di Gesù sulla città di Gerusalemme che ha rifiutato i profeti e che non ha ascoltato la sua voce. Ancora più struggente è il suo lamento per l’abbandono subito sulla croce finanche dal Padre a conclusione della missione salvifica nel mistero della morte, che diventa un grido con la consegna del suo spirito, parto di amore nel dolore acerbo della morte. Nel pianto c’è la speranza, nella conclusione c’è l’inizio. Sono molteplici e ripetuti i lamenti umani giustificati dalle difficoltà della vita, nella solitudine e nella sofferenza, nell’ingiustizia e nell’incomprensione, nella emarginazione e nella sopraffazione. Ogni occasione ed ogni particolare situazione diviene motivo per lamentarsi. Una appropriata cura somministrata dalla grazia dei sacramenti e con l’aiuto di una guida spirituale confortevole ed amabile, può aiutare a maturare una capacità di vita, di autodeterminazione e libertà che soffoca il lamento ed apre alla speranza. Quella che Gesù Cristo stesso ha promesso e che chiude l’intera Rivelazione: «Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate» (Ap 21,4). Questa è parola di verità, non semplice conforto, non illusione né tranquillante, ma certezza di fede e di vita. P. Angelo Sardone