«Il gusto buono del nostro pane». Sono nato e cresciuto fino a 11 anni nella città di Altamura che, insieme con Matera, si contende la qualità e la bontà del pane di grano duro, noto un po’ ovunque. Ricordo con profonda nostalgia la liturgia domestica nella quale mia madre, autentica sacerdotessa, sin dalle prime ore del mattino a forza di braccia e con sapiente dosaggio di farina, lievito madre, acqua e sale, confezionava la massa di pasta. Dopo il riposo e la crescita con la fermentazione, posata sul letto ed avvolta in coperte con tanto di rito religioso corredato da segni di croce e preghiere, si trasformava in molteplici pani occorrenti per il fabbisogno della famiglia e soprattutto per chi, come mio padre, lo portava con sé in campagna. La liturgia continuava poi al forno dove l’esperto fornaio dava il tocco finale all’impasto, modellando la caratteristica forma alta, contrassegnando ogni pezzo con il marchio in ferro che riproduceva le iniziali del proprietario. Dopo circa due ore e mezza di cottura, il pane era sfornato e consegnato dal fornaio addetto, alle rispettive famiglie lasciando nell’aria un profumo intenso che invitava a mangiarne subito un pezzo. La sua fragranza ed il suo sapore erano eccezionali: è difficile descriverne la bontà. Il gusto rimaneva tale anche per molti giorni: era l’alimento fondamentale e multiuso. Questa esperienza la viviamo nel ministero sacerdotale col quale, ogni giorno “confezioniamo l’Eucaristia”, pane del cammino, sostegno della vita, nutrimento efficace di salvezza. Tutto questo viene messo in evidenza in questi giorni santi del Congresso Eucaristico. P. Angelo Sardone