«Vediamo se le sue parole sono vere, consideriamo ciò che gli accadrà alla fine» (Sap 2,17). Lo sguardo ed il fine della Liturgia nel proporre i testi della celebrazione eucaristica che accompagnano il cammino giornaliero della Quaresima è prospettico. Il punto di riferimento nella preghiera e nella riflessione è Gesù Cristo, come risalta anche dalle pagine bibliche vetero-testamentarie. In esse è tipica la simbologia che spesso fa riferimento al Figlio di Dio nella sua identità di «giusto». Il libro della Sapienza, considerato «deuterocanonico» cioè riconosciuto solo in un secondo tempo come ispirato ed utilizzato probabilmente già da S. Paolo e S. Giovanni e sicuramente dai Padri della Chiesa fin dal II secolo, mette appunto a confronto la sorte dei giusti e degli empi nel corso della vita sulla terra. Il «giusto» che possiede la conoscenza di Dio, è ritenuto d’imbarazzo perchè parla apertamente, rimprovera le trasgressioni. Le reazioni del popolo sono conseguenti: è insopportabile già al vederlo. La verità delle sue parole sarà dimostrata ampiamente alla fine della vita, quando si vedrà se è davvero assistito da Dio. Le tematiche si intercalano con termini analoghi adoperati da Isaia che saranno ancora più espliciti nei giorni prossimi. Il tutto si realizza in pienezza in Cristo e nel mistero della sua passione. La verità delle parole che si adoperano è sempre proporzionata alle opere che si compiono. Nel campo della fede non sono sufficienti se limitate solo ad espressioni verbali. La traduzione pratica, anche in mezzo alle difficoltà, sancisce la verità delle stesse parole portate fin sopra la croce della testimonianza perseverante sino alla fine. P. Angelo Sardone