«Chiunque tu sia, non hai alcun motivo di scusa perché, mentre giudichi l’altro, condanni te stesso; tu che giudichi, infatti, fai le medesime cose» (Rom 2,1). Il riferimento è esplicito per i Giudei, ma si può applicare a ciascun cristiano. Essi, infatti avendo ricevuto la Legge, sono portatori di maggiore luce per vedere e giudicare la moralità delle azioni soprattutto dei pagani. Invece se ne servono per giudicare e condannare gli altri. In fondo ciò rivela un’autentica ipocrisia: si condanna negli altri ciò in cui abitualmente noi stessi cadiamo, vizi e peccati. A tutto questo deve opporsi la verità: il giudizio di Dio è secondo verità ed è di condanna per ogni fatto peccaminoso. Nella sua identità di Salvatore, Dio non ha fretta, ha pazienza, sa attendere e non si abbassa alle piccinerie ed agli schemi umani. La grandezza del Signore sta nel portare l’uomo gradualmente alla conversione: in Lui non c’è alcuna discriminazione preconcetta. Nella misura in cui si comprende, però, nasce una responsabilità maggiore: se ci si irrigidisce e si rifiuta il pentimento e la conversione, si accumula l’ira di Dio per il giorno finale. Una formazione autenticamente cristiana, scevra da emotivi e superficiali concetti di buonismo divino, mette nella condizione di agire con prudenza e di non affrettare giudizi su alcuno, tenendo conto che davvero tante volte si giudica e condanna l’altro di cose che appartengono sistematicamente al proprio modo di agire. Non è semplicemente una malattia psicologica, ma un vero e proprio tarlo spirituale che svuota la mente e la coscienza dal buonsenso e dalla chiarezza e responsabilità morale. P. Angelo Sardone