«Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi fedeli» (Sal 115, 15). Così la Chiesa esalta il sacrificio cruento dei martiri, testimoni qualificati dell’amore del Signore e fedeli a Lui fino all’effusione del sangue. La memoria liturgica odierna, seppure facoltativa dei santi martiri Cosma e Damiano (Arabia 260–Ciro 303), molto popolari sia in Occidente che in Oriente e probabilmente medici, esalta la grandezza di Dio che concede virtù e grazie spirituali e materiali. La data della celebrazione è legata all’anniversario della chiesa eretta a Roma in loro onore da papa Felice IV (525-530). Erano gemelli e fratelli maggiori dei santi Antimo, Leonzio ed Euprepio, meno noti ed anch’essi ritenuti medici. La secolare tradizione li colloca nella prima generazione di martiri sotto Diocleziano forse nel 303. Sono scarse le notizie biografiche: erano dediti alla cura dei malati avendo appreso in Siria l’arte medica, ma erano medici speciali, non si facevano pagare. Per questo sono detti «anàrgiri» (che significa «senza argento», «senza denaro»). Era così messo in pratica il monito di Asclepio: «Darete delle cure gratuitamente, se c’è da soccorrere un povero o uno straniero, perché dove c’è l’amore degli uomini c’è l’amore dell’arte». La loro missione ed il loro compito apostolico fece guadagnare loro il martirio, mentre il Signore «sosteneva il loro animo, guidava la loro lingua, sconfiggeva, per mezzo loro il demonio sulla terra» (S. Agostino). Furono infatti lapidati, fustigati, crocifissi, gettati in mare in un sacco con un macigno appeso al collo ed infine decapitati con i loro tre fratelli più giovani. Auguri a tutti coloro che ne portano il nome, perché testimonino nella società di oggi la bellezza della donazione gratuita di se stessi nel compiere il bene. P. Angelo Sardone