«Chi mai ha messo la mano sul consacrato del Signore ed è rimasto impunito?» (1Sam 26). L’aspra lotta ingaggiata da Saul nei confronti di Davide, ha risvolti particolari. Innanzitutto l’amicizia con Gionata che fa da cuscinetto tra il padre re e l’amico Davide. Poi, la coscienza di essere stato predestinato dal Signore a succedere nel regno, non permette a Davide di alzare la mano vendicativa contro Saul e neppure di farla alzare. L’episodio raccontato dal cronista del primo Libro dei Re è emblematico. Saul andò in battaglia contro Davide con tremila persone. Nel corso della notte mentre egli dormiva spossato dalla fatica, Davide insieme con Abisai fecero un’incursione tra le truppe e si trovarono proprio davanti al re che dormiva profondamente con la lancia infissa a terra vicino al suo capo. Dinanzi all’affermazione entusiastica del capo del suo esercito che vedeva propizia la situazione per sbarazzarsi finalmente del furente re nemico con la stessa sua lancia, Davide lo impedì fermamente affermando con vigore che non si può e non si deve mettere mano sul consacrato del Signore perché non si rimane impuniti. L’atteggiamento e la risoluzione di Davide, in piena consonanza con le indicazioni riportate dalla Legge, ha bisogno di essere rivisitato nel mondo d’oggi, incline e facile a mettere mano con azioni e parole a volte anche dure, senza discriminazione alcuna, su tutti, consacrati compresi, a cominciare dal Papa. Non si uccide solo con la lancia ma anche col pregiudizio, con la critica sferzante, col risentimento e la disobbedienza. Anche se Dio non è vendicativo, non si rimane impuniti. P. Angelo Sardone